giovedì 21 novembre 2013

Il sistema scolastico integrato pubblico-privato è in contrasto con la Costituzione


Il sistema scolastico integrato pubblico-privato è in contrasto con la Costituzione *
di Corrado Mauceri

1. La legge di parità: una logica conseguenza del processo di aziendalizzazione del sistema scolastico e del cosiddetto processo di “ammodernamento” della Costituzione.

Il referendum di Bologna ha avuto il merito di riaprire, a livello nazionale, una discussione sulla sempre più diffusa politica volta a realizzare, sulla scia della scellerata Legge di parità (L. n. 62 del 2000), un sistema scolastico integrato pubblico-privato.

Il sistema integrato pubblico-privato è in palese contrasto con la Costituzione perché viola anzitutto il diritto di tutti di accedere alla scuola statale e perché la Costituzione afferma in modo chiaro che l’istituzione di scuole private deve essere “senza oneri per lo Stato”. Dobbiamo però domandarci: perché, se la Costituzione lo esclude, un tale modello di sistema scolastico è diffusamente realizzato anche da quelle forze politiche che si dichiarano rispettose della Costituzione (il PD anzitutto) e si considera persino una soluzione di buon senso perché consentirebbe anche un risparmio di risorse pubbliche?

Nello stesso tempo dobbiamo riflettere sull’esito del referendum di Bologna; difatti, se la dirigenza del PD propone, a tutti livelli, il sistema integrato pubblico-privato, l’esito del referendum di Bologna ha dimostrato che la gran parte dell’opinione pubblica è ancora convinta che le scuole private devono essere istituite “senza oneri per lo Stato.

Solitamente la scelta del sistema scolastico integrato è considerata una concessione della sinistra ed in particolare del Ministro Berlinguer al mondo cattolico per assicurarsi il sostegno dell’area cattolica alla riforma berlingueriana dei cicli scolastici.

Certamente è stata anche questo, ma soprattutto è un aspetto di una nuova idea di scuola, che nasce e si sviluppa (ovviamente con tante contraddizioni ed anche resistenze) negli anni 90 nell’ambito di una egemonia culturale neoliberista e soprattutto nella subalternità del gruppo dirigente dell’ex PCI, culturalmente travolto dal crisi del comunismo reale.

Meno Stato, più privato” in quegli anni era diventato la sintesi di un pensiero unico che accomunava gran parte della classe dirigente del Paese. In questa generale ubriacatura neoliberista si sviluppa anche l’ossessione dell’ammodernamento della Costituzione che, in concreto, si traduce nella costante violazione dei principi costituzionali nell’indifferenza più generale.

In questo contesto di subalternità culturale del maggior partito di centro-sinistra (prima PDS, poi DS ed ora PD) al pensiero unico del “primato del privatosi sviluppa un processo di “decostituzionalizzazione” delle nostre istituzioni che ovviamente coinvolge anche il sistema scolastico costituzionale, peraltro mai compiutamente realizzato; si mette quindi in discussione il ruolo istituzionale della scuola statale, concepita come sinonimo di scuola centralista e burocratizzata, e si avvia un processo di aziendalizzazione del sistema scolastico con una progressiva omologazione tra scuola pubblica e scuola privata. Questa cultura subalterna, incapace di immaginare che lo Stato può essere democratico e pluralista (come quello definito nella Costituzione), pensa che lo sviluppo del sistema scolastico si realizza mutuando i modelli aziendalistici e superando la distinzione tra pubblico e privato in un unico sistema integrato.

Nel 1994 fu pubblicato un documento con primo firmatario il futuro Ministro Luigi Berlinguer, intitolato Nuove idee per la scuola, in cui tra l’altro si afferma:

Si deve pensare a un sistema formativo pubblico, nazionale ed unitario, del quale partecipano scuole statali e non statali…”:

è l’atto di nascita del sistema scolastico integrato, cioè un’idea di scuola alternativa alla scuola della Costituzione, che invece distingue tra scuola statale aperta a tutti per la sua funzione istituzionale per la formazione democratica delle nuove generazioni e scuola privata che si istituisce per finalità di parte e non può essere la scuola di tutti e per tutti.

2. Il contesto culturale ed istituzionale in cui si colloca e si sviluppa il sistema scolastico integrato pubblico-privato.

Queste nuove idee per la scuola si collocano in un contesto culturale ed istituzionale che non riguarda soltanto il sistema scolastico, ma investe l’assetto istituzionale nel suo complesso ed in tutte le sue articolazioni. In sintesi (necessariamente schematica) i principali aspetti che coinvolgono il sistema scolastico sono:

2.1 La privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici con il conseguente processo di aziendalizzazione degli uffici pubblici e quindi anche della scuola statale.

La privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti avviata nel 1993 (Presidente del Consiglio Amato) fu, paradossalmente, fortemente voluta dalla CGIL e soprattutto dalle componenti di sinistra della CGIL (FIOM, giuristi fortemente impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori come D’Antona, Alleva e tanti altri). Solo la CGIL Scuola si oppose (molto timidamente a livello di dirigenza nazionale, con molta più forza a livello di molte strutture di base).

L’idea, per la verità molto semplicistica e demagogica, era quella di realizzare l’unità di tutti i lavoratori; non si consideravano però le diversità strutturali e finalistiche tra l’azienda privata regolata dalla logica del profitto dell’imprenditore e l’ufficio pubblico, che deve perseguire l’interesse generale che non coincide con quello dell’amministratore.

Questo processo meriterebbe un’approfondita riflessione per gli sfasci che ha determinato in generale nella Pubblica Amministrazione e per le grandi contraddizioni che ha prodotto nel sistema scolastico.

2.2 La legge sulla “privatizzazione” del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici ed i successivi decreti attuativi.

L’art. 2 della L. 23/10/1992 n. 421 delega il Governo a dettare le norme per inquadrare il pubblico impiego nell’ambito del diritto del lavoro privato con l’introduzione della contrattazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici.

In attuazione di tale legge delega furono emanati i seguenti decreti attuativi: il D.Lgs n. 29/93 (Presidente del Consiglio Amato, Ministro della Funzione Pubblica Barucci), i D.Lgs. n. 396/97, n. 80/98 e n. 387/98 (Presidente del Consiglio Prodi, Ministro della Funzione Pubblica Bassanini, Ministro della Pubblica Istruzione Berlinguer). Tutta la normativa fu successivamente riordinata nel T.U. n. 165/01.

Quali sono le modifiche che incidono sullo status del docente e sulla libertà di insegnamento e quindi sulla funzione della scuola statale?

In sintesi (riportando il testo del T.U.):

Art. 2, comma 2: “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del Capo I, del Libro V del Codice Civile e delle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nelle imprese”.

Art. 2, comma 3: “I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente”.

Art. 3, comma 2: “Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che le regoli in modo organico ed in conformità ai principi dell’autonomia universitaria”.

Art. 5, comma 2: “Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’art. 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le norme inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro”.

Art. 25: "1. Nell'ambito dell'amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonoma a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni. I dirigenti scolastici sono inquadrati in ruoli di dimensioni regionale e rispondono, agli effetti dell'articolo 21, in ordine ai risultati, che sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all'amministrazione stessa.

2. Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il dirigente scolastico, organizza l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali.

3. Nell'esercizio delle competenze di cui al comma 2, il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per l'esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l'esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l'attuazione del diritto all'apprendimento da parte degli alunni.

4. Nell'ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche, spetta al dirigente l'adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale.

5. Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti, ed è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con autonomia operativa, nell'àmbito delle direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell'istituzione scolastica, coordinando il relativo personale.

6. Il dirigente presenta periodicamente al consiglio di circolo o al consiglio di istituto motivata relazione sulla direzione e il coordinamento dell'attività formativa, organizzativa e amministrativa al fine di garantire la più ampia informazione e un efficace raccordo per l'esercizio delle competenze degli organi della istituzione.

E’ evidente che la suesposta normativa mette in discussione l’assetto democratico della scuola ed in particolare lo status del personale docente ed introduce un modello gerarchizzato ed aziendalistico che contrasta in modo palese con il principio costituzionale della libertà di insegnamento e con il ruolo istituzionale che la Costituzione assegna alla scuola statale. Questi interventi tendono a configurare la scuola statale come un’azienda in cui il ruolo professionale del personale docente è gestito da un manager con i poteri del privato datore di lavoro al pari della scuola privata.

Si avvia quindi un processo di trasformazione ed omologazione della scuola pubblica al modello aziendalistico della scuola privata dove il gestore detta le regole ed il progetto educativo, che il personale docente è tenuto a realizzare con una legittima limitazione della propria autonomia professionale.

Deve però essere chiaro che questo processo di omologazione al modello aziendalistico senza dubbio è stato avviato, ma non è stato compiutamente realizzato, anche perché le forti resistenze del mondo della scuola hanno impedito finora una piena e definita realizzazione dell’aziendalizzazione e della sua organizzazione manageriale.

Lo stesso art. 25, che pure ha introdotto la figura manageriale del Dirigente Scolastico, paradossalmente con l’esplicito riferimento agli Organi Collegiali ha riaffermato l’organizzazione democratica della scuola statale, introducendo una indubbia contraddizione che ridimensiona il modello aziendalistico; difatti, distinguendo la figura del dirigente in generale della Pubblica Amministrazione dalla figura specifica del dirigente scolastico, ha evidenziato la specificità della scuola e quindi la inapplicabilità alla scuola di tutte le norme che si riferiscono in generale alla P.A. (come per esempio il decreto Brunetta), ma soprattutto ha affermato che il Dirigente Scolastico esercita le proprie attribuzioni “nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici.

Se si considera che le competenze degli organi collegiali scolastici sono ampie ed investono tutta la vita scolastica, in realtà si può sostenere che l’aziendalizzazione della scuola è una tendenza che si può facilmente realizzare se c’è (come in realtà c’è) una subalternità culturale (ma anche opportunistica) del mondo della scuola; si può invece neutralizzare se c’è un forte impegno nella gestione quotidiana degli spazi di democrazia scolastica.

Il mondo della scuola non può crearsi alibi; se passa il modello aziendalistico (e come si sa, PD e PDL nella passata legislatura avevano di comune accordo approvato la cosiddetta pdl Aprea-Ghizzoni, che avrebbe portato a compimento il processo di aziendalizzazione della scuola pubblica), la responsabilità è in primo luogo di chi può impedirlo e non lo impedisce. In questo senso desta molta preoccupazione la leggerezza con cui le organizzazioni sindacali, con la lodevole intenzione di tutelare i lavoratori della scuola dalle invadenze autoritarie di taluni dirigenti scolastici, intervengono indebitamente con la contrattazione e con le RSU sulle materie demandate dal T.U. n.297/94 agli Organi Collegiali della scuola; in tal modo non solo si contribuisce al processo di delegittimazione degli Organi Collegiali, ma inconsapevolmente si riconosce al D.S. competenze manageriali che lo stesso art. 25 subordina alle prerogative degli Organi Collegiali.

2.3 L’autonomia scolastica dimezzata e subordinata ai poteri di indirizzo e di controllo del Ministro.

La tanto conclamata “autonomia scolastica, introdotta per delega della L. n. 59 del 15/03/1997 (Presidente del Consiglio Prodi, Ministro della Funzione Pubblica Bassanini, Ministro della Pubblica Istruzione Berlinguer), senza dubbio amplia le competenze delle istituzioni scolastiche, ma le colloca nella logica della nuova idea di scuola, non più istituzione che svolge una funzione statale nel prevalente interesse generale, ma azienda pubblica che, al pari di una azienda privata, svolge un servizio pubblico, come è già avvenuto per il settore sanitario.

Con il DPR sull’autonomia (DPR n. 275/99), difatti, oltre ai poteri del Dirigente Scolastico si rafforzano i poteri del Ministro, che in base all’art. 8 sono:

a. gli obiettivi generali del processo formativo;
b. gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni;
c. le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale;
d. l'orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche;
e. i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e attività della quota nazionale del curricolo;
f. gli standard relativi alla qualità del servizio;
g. gli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi;
h. i criteri generali per l'organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all'educazione permanente degli adulti, anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di istruzione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali.

L’aspetto emblematico di tale autonomia è il POF (Piano dell’Offerta Formativa), che è “il documento fondamentale costituito dall’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche”. La stessa definizione di “Piano dell’Offerta Formativa” sta a sottolineare il carattere di proposta all’utenza da parte di ciascuna scuola in un sistema di concorrenza tra scuole, comprese ovviamente le scuole private paritarie: ciascuna scuola ha una propria identità culturale, è organizzata tendenzialmente in modo aziendalistico, gestita da un D.S. che, a differenza del personale direttivo che faceva parte della scuola, fa parte dell’Amministrazione Scolastica periferica e tutte, statali e paritarie private, governate dal Ministro (che non a caso non è più della Pubblica Istruzione) e dagli organi di controllo e valutazione.

La scuola statale si configura sempre di più nella sua funzione (servizio alla persona) e nella sua organizzazione simile alla scuola privata, perdendo sempre di più la sua funzione istituzionale di organo formativo (diceva Calamandrei “costituzionale”) dello Stato.

2.4 La riforma del Titolo V e il progetto di regionalizzazione della scuola.

Nella logica di una scuola-azienda erogatrice di un servizio pubblico, al pari del servizio sanitario, del trasporto pubblico ecc., anche per la scuola statale con la riforma del Titolo V del 2001, voluta dal PDS (anche nel vano tentativo di guadagnarsi le simpatie degli elettori della Lega), si delinea una forma di regionalizzazione, peraltro molto ibrida e contraddittoria e di difficile applicazione.

Il senso però è chiaro; essendo la scuola, statale o privata, un servizio alla persona e dovendo corrispondere, in un regime di concorrenza tra le scuole pubbliche e private, alle esigenze specifiche dell’utenza, è più funzionale che ciascuna Regione definisca un proprio modello scolastico sia sotto il profilo organizzativo sia anche, per taluni aspetti, sotto il profilo dei contenuti.

Questo tentativo di regionalizzazione si è di fatto arenato sia per l’opposizione del mondo della scuola sia per l’incapacità delle stesse Regioni, anche se alcune Regioni (Lombardia, Toscana, ecc.) hanno tentato di introdurre modelli scolastici regionali, ma con risultati scarsi.

3. La legge di parità: L. 10 marzo 2010 n. 62.

3.1 I principi costituzionali

In questo contesto politico-istituzionale e soprattutto culturale si colloca la cosiddetta legge di parità, che avrebbe dovuto dare attuazione all’art. 33 della Costituzione che sarà opportuno riportare:

Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato”.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”.

La Costituzione, che è la legge fondamentale dello Stato e che Ministri ed Amministratori delle istituzioni regionali e locali giurano di osservare, afferma:

1) E’ riconosciuto il diritto di istituire scuole non statali, ma “senza oneri per lo Stato”, cioè non solo sono precluse erogazioni di contributi sotto qualsiasi forma, ma anche forme di agevolazioni fiscali e di qualsiasi altra natura che possano comportare “oneri per lo Stato”, anche sotto il profilo del lucro cessante.

Né si può aggirare il principio “senza oneri per lo Stato” ricorrendo al modello del sistema integrato che consentirebbe, secondo alcune anime belle, una riduzione della spesa pubblica, perché il principio “senza oneri per lo Stato” è netto e non consente deroghe.

Come meglio si preciserà più avanti, il sistema integrato è incompatibile con l’obbligo della Repubblica di istituire scuole di ogni ordine e grado per tutti; inoltre l’integrazione presuppone una omogeneità dell’attività di insegnamento che nel sistema integrato non è realizzabile, perché l’insegnamento della scuola pubblica deve essere pluralistico, mentre quello privato può legittimamente essere di orientamento; la riduzione della spesa pubblica si tradurrebbe in una forma di illegittima discriminazione per coloro che, per la riduzione della spesa pubblica, sarebbero costretti a frequentare una scuola di orientamento.

Né si può invocare il principio di sussidiarietà previsto in generale nell’ultimo comma dell’art. 117 della Costituzione; “senza oneri per lo Stato” dell’art. 33 della Costituzione è una norma speciale che, combinata con il principio dell’autosufficienza del sistema scolastico statale, esclude qualsiasi forma di sussidiarietà e quindi di contributo pubblico a titolo di sussidiarietà.

2) La parità non trasforma la scuola privata in scuola pubblica; la scuola privata può rilasciare titoli di studio con valore legale, ma è pur sempre una scuola privata.

3) La scuola privata paritaria eroga un servizio, sotto tutti i profili, di natura privatistica e per finalità privatistiche; difatti la Costituzione stabilisce che la legge di parità “deve assicurare ed essi piena libertà”.

Lo Stato non può quindi imporre alle scuole paritarie alcun modello organizzativo né, tanto meno, un progetto educativo, né modalità di assunzione del personale. La scuola privata paritaria, anche se senza fini di lucro, è un’azienda privata che, per effetto della parità, è tenuta soltanto a:

a) assumere di personale in possesso dell’abilitazione all’insegnamento
b) osservare i curricula ministeriali
c) rilasciare, previo esame di Stato, titoli di studio equipollenti a quelli rilasciati dalle scuole private.

Quindi la scuola privata paritaria non è tenuta ad organizzarsi in modo democratico, non è tenuta a garantire la libertà di coscienza e di insegnamento del personale docente, che anzi può essere legittimamente obbligato ad osservare le finalità educative dell’Istituto, può essere una scuola di orientamento confessionale, culturale, di appartenenza.

La scuola privata paritaria ha quindi il diritto costituzionale di impartire un’educazione di parte e di conseguenza non può garantire lo stesso insegnamento della scuola pubblica, pertanto l’attività della scuola privata paritaria non è fungibile con quella statale. La Costituzione esclude un possibile sistema scolastico integrato pubblico-privato.

3.2 L’“ammodernamento” della Costituzione


Per la dirigenza del PDS ed in particolare per il Ministro all’epoca in carica la Costituzione doveva essere letta in modo evolutivo e moderno e soprattutto dovevano essere superate le vecchie ideologie stataliste e gli steccati pubblico-privato.

Con questa generosa opera di “ammodernamento” della Costituzione e senza bisogno di ricorrere nemmeno alla procedura di revisione costituzionale, destra e sinistra, contrapposte in campagna elettorale ed unite nell’ammodernamento della Costituzione (la Storia si ripete anche oggi) con la legge di parità stravolgono i suesposti principi costituzionali. Si delinea un nuovo sistema scolastico nazionale pubblico-privato.

La legge di parità difatti:

a) supera la distinzione tra sistema scolastico statale e non statale che, ex art. 33, comma 2 della Costituzione, dovrebbe essere autosufficiente, e prevede un sistema nazionale di istruzione che “è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali”.

Non più quindi un sistema scolastico statale autosufficiente rispetto alla domanda sociale ed, in aggiunta, scuole non statali che “possono” essere istituite, ma un unico sistema come se scuole statali e scuole paritarie fossero fungibili e concorressero alle stesse finalità.

La scuola statale perde la sua funzione istituzionale e le scuole paritarie private concorrono con la scuola statale alla formazione dell’offerta formativa. Si delinea quindi un sistema scolastico integrato che la Costituzione all’art. 33 aveva escluso.

b) “Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà (come prevede la Costituzione) per quanto concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico tenuto conto del progetto educativo, l’insegnamento è improntato ai principi di libertà sanciti dalla Costituzione”.

In sostanza anzitutto si garantisce alle scuole private paritarie di essere scuole di tendenza e quindi non pluraliste, si riconosce ad esse la piena libertà di organizzarsi nel modo che ritengono più opportuno e di darsi un proprio progetto, nell’ambito di tali preminenti prerogative devono anche osservare i principi di libertà sanciti nella Costituzione; nel contrasto però tra la libertà riconosciuta alla scuola privata ed un principio costituzionale, come il diritto alla libertà di insegnamento, come ha giustamente affermato la Corte Costituzionale (nel caso Cordero, licenziato dall’Università Cattolica), prevale la libertà della Scuola.

Non a caso nella legge di parità non si afferma mai la libertà di insegnamento.

c) Le scuole private paritarie svolgono un servizio pubblico e non, come afferma la Ministra Carrozza, una funzione pubblica.
Peraltro è un servizio pubblico non aperto a tutti perché deve essere accolto “chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi”; chi frequenta una scuola privata deve a priori, all’atto dell’iscrizione, accettare un determinato progetto educativo.

Precisa inoltre la legge di parità che “il progetto educativo indica l’eventuale ispirazione di carattere culturale o religiosa”.

d) In deroga al principio secondo cui l’attività docente deve essere svolta da personale in possesso della prescritta abilitazione, la legge di parità consente alle scuole private paritarie, “in misura non superiore a un quarto delle prestazioni complessive, di avvalersi di personale non abilitato”.

e) In coerenza con il ruolo assegnato alle scuole paritarie ed in palese deroga al principio “senza oneri per lo Stato”, la legge di parità prevede un contributo finanziario per le scuole paritarie primarie ed un ulteriore finanziamento per “spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico (scuola per l’infanzia) integrato”.

4. Il solco tracciato dalla legge di parità: le scuole private concorrono a formare il sistema pubblico dell’istruzione.

Dal 2000 si sono alternate al Governo tutte le forze politiche del Paese, la legge di parità non solo non è stata mai messa in discussione, ma è stata sviluppata sia perché ha offerto una autorevole copertura istituzionale a tutte le varie amministrazioni locali e regionali per erogare contributi sotto varie forme alle scuole private, sia perché ha avuto una sua evoluzione nella direzione della omologazione tra pubblico e privato; difatti, con il secondo Governo Prodi e Ministro della Pubblica Istruzione Fioroni, nella legge finanziaria per il 2007 si incrementa il contributo alle Scuole paritarie in considerazione della “funzione pubblica” che esse svolgono.

Nella sua esposizione programmatica alle Commissioni parlamentari la Ministra in carica Carrozza nel richiamare la legge di parità afferma:

Infatti, come stabilito dalla legge 62 del 2000 il sistema pubblico di istruzione è composto dalle scuole statali e dalle scuole paritari… Occorre salvaguardare il carattere plurale del nostro sistema di istruzione attraverso misure volte a tutelare la qualità e l’inclusività anche delle scuole pubbliche paritarie”.

Ogni commento è superfluo; si deve soltanto passare dalla lamentevole denuncia delle politiche del PD all’iniziativa politica sia a livello sociale sia anche a livello istituzionale.

Considerazioni e proposte.

Considerazioni

Berlusconi ed i suoi Ministri hanno devastato la scuola pubblica; ma è stata una politica coerente perché la distruzione della scuola pubblica (e di tutto ciò che è pubblico) e dei diritti costituzionali è nel DNA della destra ed in particolare di personaggi come Berlusconi.

Si deve solo aggiungere che la politica dei tagli alla spesa per la scuola pubblica, da tutti criticata, è stata dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato in seguito ad un ricorso proposto da alcuni Comitati di genitori ed insegnanti con l’adesione di alcuni Enti Locali, ma non è stata adeguatamente contrastata dalle forze del centro-sinistra; difatti, ripetutamente sollecitate ad impegnarsi soprattutto nelle Regioni per dare esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato, le Regioni finora hanno fatto tutte acquiescenza all’operato illegittimo di Berlusconi Tremonti e Gelmini.

Regioni di Centro-sinistra e forze politiche che le governano sono tutte corresponsabili dei tagli alla scuola pubblica di oltre 8 miliardi.

Ma il PD (e le sigle precedenti) è stato e continua ad essere anche il promotore ed il diffusore della cultura della scuola pubblica-azienda, della integrazione tra scuola pubblica e scuola privata ed infine dei finanziamenti pubblici (sottratti alla scuola pubblica) per le scuole private e cioè in sintesi della palese violazione della Costituzione.

Le proposte

1. Necessità di una risposta politica concreta e coerente.
Se la scuola pubblica è, come è, una priorità assoluta per lo sviluppo sociale e democratico del Paese, la politica scolastica deve essere una discriminante politica ed elettorale; quindi la prima proposta, a mio avviso, deve essere quella di non votare e non fare votare le forze politiche che stravolgono la scuola della Costituzione e quindi il PD (attualmente impegnato anche a stravolgere in senso autoritario l’assetto istituzionale dello Stato).

Non si può per 364 giorni l’anno lamentarsi della politica scolastica del PD e dopo, il giorno delle elezioni, accettare la logica perversa del “voto utile” (ma utile a chi?) o addirittura lanciare appelli per il “voto utile”.

2. Se il sistema integrato pubblico-privato implica una aziendalizzazione ed omologazione di scuola pubblica e scuola privata, oltre che contestare tutte le forme di contributo alle scuole private, bisogna anzitutto rilanciare il ruolo istituzionale della scuola statale, cioè dello Stato e soprattutto evidenziare la “diversità” della scuola statale, rilanciare e praticare la democrazia scolastica.

Si tratta di dare ampia informazione sulle competenze attuali degli Organi Collegiali, sul ruolo effettivo che, nel rispetto del principio costituzionale della libertà di insegnamento, spetta al D.S. e di rivendicare il governo democratico non solo delle singole scuole, ma dell’intero sistema statale.

3. Occorre organizzare una risposta concreta, a livello nazionale, per contestare, a tutti i livelli, qualsiasi forma di sistema integrato e di contributo pubblico a favore della scuola privata.

In teoria si dovrebbe organizzare la contestazione anche sotto il profilo legale: ma è un’iniziativa costosa e soprattutto di scarsa efficacia politica, perché rischia di tradursi in una forma di “delega” alla magistratura; quindi significa che sotto il profilo politico si è perso.

D’altra parte iniziative locali, non essendo facilmente ripetibile l’iniziativa di Bologna, hanno una scarsa visibilità e scarsa incidenza; a mio avviso non c’è altra strada che la responsabilità politica: una campagna nazionale per il non voto alle forze politiche che violano la Costituzione, ma anche un impegno politico a costruire un soggetto politico nuovo ed unitario che abbia la sua centralità nell’attuazione della Costituzione e l’impegno diretto a livello istituzionale di coloro che vivono i problemi reali del Paese.

* Traccia, integrata con i riferimenti normativi, dell’intervento di Corrado Mauceri al Convegno “‘Senza oneri per lo Stato’, un principio costituzionale da rispettare: no al finanziamento alle scuole private”, Milano 26 Ottobre 2013.